Raccontare Leonardo Sciascia significa prima di tutto fare delle scelte, individuare gli aspetti salienti, poco noti, curiosi che riguardano la sua vita e la sua vasta e articolata produzione. Dunque occorre prima selezionare, isolare, distinguere, poi costruire una falsariga, provare a mettere a sistema per dare una forma al racconto, una coerenza interna.
L’operazione è assai delicata trattandosi di uno dei più grandi autori del secondo Novecento, cui si devono opere complesse e stratificate, che incrociano tanti aspetti della nostra Storia, più o meno recente, recuperando eventi del passato rimossi o cancellati.
Possiamo dire che ha rinvigorito generi letterari diversi, dal romanzo poliziesco al romanzo storico, ma soprattutto ha fatto del saggio una misura di stile personalissima e sorprendente, mescolando con abilità di prestigiatore empiti immaginativi e affondi argomentativi.
Non va dimenticato infatti che Sciascia a scuola, per troppo tempo, è stato additato quale mafiologo insuperato, l’interprete più acuto del fenomeno malavitoso. Risultato: la complessa produzione dello scrittore di Racalmuto, la forma acuminata delle sue riflessioni, la penetrazione di uno sguardo che ogni volta si incunea nell’interstizio più remoto, sono andate per lo più perdute.
Anche oggi è indubbio che la sua statura di romanziere e saggista gli consenta di stare accanto ai grandi della letteratura del Novecento senza sfigurare per niente.
Ne viene fuori il profilo di uno scrittore e di un intellettuale militante, scomodo, a volte irriducibile, legato a doppio filo al suo fondale isolano, uno che ha spinto lontanissimo, laddove nessuno prima di lui aveva fatto, la provocazione provinciale intercettando tanti fenomeni, individuando questioni sempre di grande rilievo sulle quali prendere posizione, intervenire, avendo come osservatorio privilegiato la sua Racalmuto.
23/04/2021
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