Il viaggio ufficiale nel Golfo si apre con la visita a Riad. Ma un jet da 400 milioni di dollari e gli affari d’oro della Trump Organization alimentano le polemiche.
Mentre Donald Trump atterrava a Riad per la prima tappa del suo tour mediorientale, si infiammava negli Stati Uniti un acceso dibattito sul significato – e soprattutto sulle implicazioni – di questo viaggio presidenziale. Obiettivo dichiarato: promuovere la pace in Medio Oriente e affrontare le crisi regionali, dal conflitto israelo-palestinese alla minaccia nucleare iraniana. Ma a tenere banco è il “jumbo della discordia”, un Boeing 747 da 400 milioni di dollari, che secondo alcune fonti sarebbe stato donato dal Qatar a Trump e che alimenta sospetti di conflitto d’interessi.
Un jet “regalato” dal Qatar e la bufera negli Stati Uniti
Il velivolo, un sontuoso Boeing 747, è stato definito il regalo istituzionale più costoso mai ricevuto da un presidente americano da parte di un governo straniero. Il Qatar ha cercato di smorzare i toni parlando di “leasing temporaneo”, ma Trump ha fatto poco per stemperare le polemiche. “Sarei stupido a non accettarlo”, ha dichiarato il presidente, aggiungendo che l’aereo è destinato al Pentagono e, alla fine del mandato, alla sua futura presidential library.
Una giustificazione che non ha convinto molti. Diversi esponenti democratici, tra cui il deputato Ritchie Torres e il senatore Adam Schiff, hanno chiesto l’apertura di un’indagine, citando la Costituzione americana che vieta ai funzionari eletti di accettare doni da governi stranieri senza l’approvazione del Congresso.
I sospetti sul doppio ruolo di Trump: presidente e imprenditore
Il vero nodo della questione è che Trump continua a muoversi in Medio Oriente anche come imprenditore. Il suo impero immobiliare sta espandendosi proprio nei Paesi che visiterà durante il tour. A Dubai è appena stato inaugurato il Trump International Hotel and Tower, un grattacielo da un miliardo di dollari, mentre negli Emirati Arabi, in Qatar e in Arabia Saudita sono in costruzione nuovi resort, campi da golf e residenze di lusso a marchio Trump.
La holding di famiglia, gestita da Eric Trump, ha siglato partnership con grandi gruppi immobiliari del Golfo, molti dei quali collegati ai fondi sovrani degli stessi governi che Trump sta incontrando come presidente. Non solo: la società di criptovalute legata alla famiglia Trump, World Liberty Financial, ha annunciato un investimento da 2 miliardi di dollari da parte di un fondo emiratino.
Secondo Citizens for Responsibility and Ethics, un’organizzazione indipendente di vigilanza etica, la sovrapposizione tra affari personali e funzioni istituzionali è allarmante: “Trump sa che le sue decisioni politiche possono avere un impatto diretto sui suoi interessi finanziari”, ha dichiarato l’organismo in una nota.
La mediazione per la liberazione degli ostaggi
Intanto, sul fronte politico, Trump ha cercato di presentarsi come mediatore credibile. Durante la visita a Riad ha discusso con il principe ereditario Mohammed bin Salman della situazione in Palestina, dello sforzo per smantellare il programma nucleare iraniano e delle prospettive di pace nella regione. Proprio ieri è stato liberato da Hamas l’ostaggio americano-israeliano Edan Alexander, e fonti citate da Axios parlano di un canale segreto tra Hamas e la Casa Bianca, aperto grazie a un attivista vicino a Trump.
L'inviato speciale Steve Witkoff ha dichiarato che il presidente ha parlato telefonicamente con il giovane liberato, promettendo che continuerà a lavorare per il ritorno di tutti gli ostaggi.
Tra diplomazia e business, un viaggio sotto osservazione
Il viaggio di Trump nel Golfo prevede tre tappe, tutte in Paesi dove la Trump Organization ha interessi attivi. Questo intreccio di diplomazia e affari rischia di mettere in ombra ogni tentativo di mediazione. Anche tra i suoi stessi sostenitori crescono le perplessità: perfino l’attivista di destra Laura Loomer ha definito la vicenda del jumbo “una macchia per l’amministrazione”.
La Casa Bianca ha respinto con fermezza ogni accusa: “È ridicolo insinuare che il presidente agisca per interesse personale”, ha dichiarato la portavoce Karoline Leavitt.
Ma il sospetto resta. E mentre Trump cerca di consolidare la sua immagine internazionale, negli Stati Uniti si discute se sia possibile, o eticamente accettabile, che un presidente sieda contemporaneamente sulla poltrona più potente del mondo e sul consiglio d’amministrazione di se stesso.
13/05/2025
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