Nel cuore di un sistema sanitario sempre più sotto pressione, l’Italia si trova a fronteggiare una carenza cronica di infermieri: ne servirebbero almeno 65.000 in più, secondo le stime della Ragioneria dello Stato. Una cifra destinata a crescere esponenzialmente nei prossimi anni, se si considera che tra il 2023 e il 2033 circa 110.000 professionisti andranno in pensione. A lanciare l’allarme è Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche (FNOPI), in occasione della presentazione del primo Rapporto sulla condizione della professione, tenutosi a Roma per la Giornata Internazionale dell’Infermiere.
In Italia operano attualmente circa 400.000 infermieri su 460.000 iscritti all’Ordine, di cui 50.000 sono liberi professionisti. Il problema, però, non è solo numerico: sempre più infermieri emigrano all’estero dopo aver studiato nel nostro Paese, mentre molti giovani abbandonano il percorso formativo per mancanza di prospettive. “Non basta offrire incentivi economici — avverte Mangiacavalli — serve rendere la professione attrattiva, con percorsi di carriera chiari, riconoscimenti professionali e reali possibilità di crescita”.
Il tema tocca direttamente la tenuta del Servizio Sanitario Nazionale, in un Paese che invecchia rapidamente e in cui le patologie croniche rappresentano una sfida sempre più assistenziale. Il ministro della Salute Orazio Schillaci, intervenuto con un messaggio ufficiale, ha sottolineato il ruolo cruciale degli Infermieri di Famiglia e di Comunità come perno dell’assistenza territoriale: “Il modello sanitario deve adattarsi a un’Italia che cambia. Non si tratta solo di retribuzioni, ma di percorsi che diano prospettive reali”.
In risposta all’emergenza, il Governo ha già varato alcune misure, tra cui l’indennità per gli infermieri impiegati nell’emergenza-urgenza, la detassazione degli straordinari e nuove disposizioni per la libera professione all’interno del servizio pubblico. Ma il nodo centrale resta la motivazione delle nuove generazioni: secondo dati OCSE-PISA citati nel rapporto dell’OMS "State of the World's Nursing 2025", solo lo 0,8% degli studenti italiani considera l'infermieristica una carriera, contro l’8% del Giappone.
A contribuire a mantenere attivo il sistema, intanto, sono anche i professionisti stranieri: al 30 aprile 2025 sono 43.600 gli infermieri provenienti da altri Paesi presenti in Italia, con un incremento del 47,3% rispetto al 2020. Romania, Polonia, Albania, India e Perù le comunità più rappresentate, specialmente in regioni come Lombardia, Veneto e Piemonte. Una risorsa importante, che però va sostenuta. “È necessario regolarizzare i professionisti entrati con decreti emergenziali — spiega Foad Aodi, direttore dell’Aisc —, rafforzare i corsi di lingua e l’aggiornamento professionale. Non si può restare immigrati o precari per sempre”.
Anche a livello globale, la situazione è critica. L’OMS stima una carenza di 5,8 milioni di infermieri, nonostante la crescita del 7% nel numero di professionisti tra il 2018 e il 2023. Le disuguaglianze restano evidenti: il 78% degli infermieri mondiali lavora in Paesi che rappresentano solo il 49% della popolazione globale.
In questo scenario complesso, l’Italia si trova davanti a una scelta: o investe in modo strutturale e lungimirante nella professione infermieristica, o rischia di compromettere seriamente la tenuta del proprio sistema sanitario. Perché, come ha ricordato la presidente Mangiacavalli, “la questione infermieristica non è di una sola categoria, ma di tutto il Paese”.
12/05/2025
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