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INTERVISTA CON LA SCRITTRICE MICHAELA RAMACCIOTTI

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La scrittice Michaela Ramacciotti con il suo libro “ Sono ancora con te“ regala al lettore una immersione toccante e significativa nella sua vita che trascina in un vortice di emozioni tutti noi. Oggi siamo onorati di avere con noi l'autrice di questo straordinario lavoro, la cui penna ha dato vita a una storia avvincente e commovente. Il libro apre una luce penetrante sulle emozioni, le sfide e il significato dietro una perdita così dolorosa.

L'autrice ci offre l'opportunità unica di immergerci nelle profondità della sua narrazione e di esplorare come ha affrontato il compito di dare voce a una storia così delicata. Attraverso il suo lavoro, abbiamo l'opportunità di comprendere meglio non solo il protagonista di questa storia, ma anche la complessità umana di fronte al dolore.

1. Qual è stato il motivo che ti ha spinto a condividere questa storia così personale e dolorosa con il pubblico?

Ho sempre raccontato di lui in questi anni, centinaia di volte, ne sentivo l'esigenza e l'ho fatto spontaneamente. Condividere la mia esperienza è stato curativo per me.

2. Come hai affrontato l'esperienza di scrivere su un argomento così intimo e difficile come la malattia e la perdita dell'amore della tua vita?

In principio, il mio desiderio era quello di lasciar scritta questa storia per i suoi nipotini, dar loro modo, una volta diventati adulti, di conoscere quello zio, quasi sconosciuto, ma cosi presente nelle loro vite. Scrissi tutto ciò che ricordavo in pochi mesi. Temevo che col passare del tempo avrei scordato dettagli, pensieri, immagini, temevo che mi sarei scordata di lui.

Col tempo mi sono resa conto che rielaborare il lutto attraverso la scrittura dava significato al mio dolore, in un certo qual modo lo rendeva più sopportabile. Il libro restò chiuso in un cassetto per moltissimo tempo.

3. Qual è stato il momento più difficile durante i due anni di lotta contro il cancro del tuo compagno e come sei riuscita a rimanere positiva e ottimista?

je suis desole il est maligne”, le prime parole che il medico francese ci disse, un freddo pomeriggio di febbraio. Mai dimenticate, le ricordo come se fosse ieri. Questo è stato il momento più destabilizzante della mia vita. Sensazione ingestibile, mi sarei suicidata molto volentieri, ma ovviamente la vita aveva in serbo ben altro per me. L’ottimismo, l’amore, la voglia di vivere e la convinzione che l’impossibile fosse possibile, non mi hanno mai abbandonata.

Il dopo è una battaglia, non si ha tempo di pensare, tanto meno di avere paura, bisogna aggrapparsi alla vita con le unghie e con i denti.

 4. Nel libro, hai menzionato che la malattia ha portato via l'amore della tua vita, ma hai anche sottolineato la consapevolezza di aver vissuto al meglio. Come sei riuscita a trovare la forza di vivere ogni momento al massimo nonostante le circostanze?

Credo ci sia una netta differenza tra l'essere malati e il sentirsi tali. Lui non ha mai vissuto da malato, non si è mai sentito un malato. Neanche durante i ricoveri ospedalieri si è sentito tale, e questo me lo trasmetteva, si aspettava la guarigione. Non abbiamo mai smesso di pensare al futuro, al nostro futuro e la malattia non è mai riuscita ad allontanarci o farci crollare. 

Non è stato facile far finta che il cancro non fosse un problema insormontabile, si è fatto sentire eccome, ma sempre e solo come ospite di passaggio. 

 5. Come hai gestito la pressione di essere accanto a lui, cercando di restare lucida e presente, nonostante le difficoltà e il dolore?

Nelle mie preghiere chiesi a Dio di darmi tutta la forza possibile, chiesi di starci vicino, e capii che la mia vita non era importante, ma solo la sua. Solo annullando i miei pensieri, i miei sogni, i miei bisogni avrei potuto essergli utile. Il mio compito era quello di amarlo e sostenerlo fino alla fine, con la consapevolezza di aver vissuto al meglio il nostro tempo insieme

6. Il tuo libro trasmette un messaggio di vita, di reagire in nome dell'altro. Quali consigli daresti a chi si trova a vivere una situazione simile, sia come paziente che come caregiver?

Non ci sono consigli smart, ovvero pillole magiche che risolvano tutto.

La paura, nel vivere accanto ad una persona malata di cancro, o di esserne malato ha radici profonde e ha molto a che vedere con la convinzione che ogni persona ha della vita in generale.

C’è differenza fra una persona che crede che tutto sia a caso e una persona che invece crede che ci siano sempre messaggi universali da poter cogliere. Riuscire a trasformare la malattia in un’opportunità, imparare come essere utile in poco tempo, senza rimanere invaso dalle emozioni negative di chi hai davanti e senza sentirti impotente.

 7. Nel tuo vissuto, hai sperimentato un equilibrio tra tristezza e felicità. Come hai affrontato questa dualità emotiva e cosa hai imparato da questa esperienza?

Il dolore rivela la natura della persona. Intendo la stoffa di cui sei fatto, l’essenza. Di me ha svelato tutto l’amore che porto dentro e la mia forza interiore. Ciò di cui vado fiera è la serenità con cui sono arrivata a vivere la mia vita e spero di trasmetterla anche agli altri.

 8. Il tuo libro è descritto come un racconto senza vittimismo o rabbia da ingiustizia. Come sei riuscita a mantenere questa prospettiva durante e dopo l'esperienza?

Il vittimismo non mi è mai appartenuto.

L’ho sempre trovato una comodità di chi non vuole cambiare. Penso che la felicità sia una responsabilità personale. Della nostra vita dobbiamo occuparcene noi.

L’ho fatto dal primo istantesiamo esseri umani e anche la fragilità in certi momenti affiora, è normale.... ma se non siamo noi ...che dentro di noi scatta qualcosa che ci fa sperare ancora , sorridere, fantasticare

9. Qual è stata la parte più difficile da scrivere nel tuo libro e come hai superato eventuali blocchi emotivi durante il processo di scrittura?

Durante la stesura, sentivo la morsa dell’ansia, ma ho cercato di riconoscerla e gestirla.

Scrivere della sua malattia mi ha fatto male, perche è stata la parte più straziante.

Ho usato le parole per trasformare le mie emozioni, ho lavorato su di esse per trasformare quello che è accaduto in un trampolino di lancio per diventare la versione migliore di me…che avevo dimenticato.

 10. Come pensi che questa esperienza abbia influenzato la tua visione della vita e delle relazioni?

Questo evento mi ha segnato ed insegnato molto.

La perdita di una persona importante lascia per forza dei segni profondi. Lui mi ha insegnato ad avere coraggio, mi ripeteva che questa è la malattia del secolo, che dobbiamo affrontare ciò che ci capita, che sono cose che purtroppo succedono…questa eredità mi ha lasciato, ed io la conservo gelosamente. Tutto quello che lui ha fatto in vita continua ad avere conseguenze positive anche nel mio presente, ed allora mi dico che è cosi che doveva andare…

11. Hai menzionato la semplicità come una forma di ricchezza nel tuo libro. Come hai coltivato questa semplicità nella tua vita dopo la perdita di Alfonso?

Ho cercato di capire il mio scopo, e cercare di perseguirlo per alzarmi la mattina con tutt’altro spirito.

Scoprire chi siamo veramente e cosa siamo chiamati a fare qui è la chiave per essere felici nel presente e apprezzare il senso delle nostre giornate. 

12. Infine, quali speranze hai per chi legge il tuo libro? Qual è il messaggio principale che vorresti che i lettori portassero con sé dopo aver terminato la lettura?

Quanto è vero che nel dolore ti scopri, capisci realmente chi sei.

Tu sei responsabile delle tue scelte.
Sei tu che devi rispondere a te stessa, alle tue emozioni e ai sentimenti che provi.

Possiamo sicuramente imparare ad attirare alcune cose nella vita, ma altri eventi dolorosi o le sofferenze del nostro passato sono imprevedibili, oppure fuori dal nostro controllo.

 

È essenziale quindi imparare ad essere "felici nonostante".

 

25/01/2024

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